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Mike Fuselier : la grande svolta !

Nel corso di un viaggio di scalata in Turchia nella primavera del 2015, Mike Fuselier ha fatto una caduta di oltre 20 metri dalle falesie di Datça. In barba a tutti i pronostici che insistevano su tutto ciò che non sarebbe più stato in grado di fare, all'incirca un anno e mezzo dopo l'incidente, e non senza emozione, Mike racconta la propria storia e il modo in cui è riuscito a trasformare quella difficile prova in una vera e propria esperienza di vita. Firmando, nell'autunno 2016, la via Un clin d'oeil au paradis, il famoso 8c di Tournoux, nelle Hautes-Alpes, Mike ha chiuso un capitolo della sua esistenza per iniziarne un altro, del tutto nuovo… e continuare il suo percorso di vita.

25 Gennaio 2017

Arrampicata

Mike Fuselier recovery

Raccontare un'altra volta la mia storia? E perché no? Però questa volta ho intenzione di raccontarvela in modo diverso. Questa volta vorrei mettere l'accento su certi aspetti della vicenda che ritengo importanti. Anche perché la mia è stata un'esperienza che – me lo auguro – potrebbe aiutare ispirare altre persone, rimaste vittime di lesioni corporali, che si chiedono come potrebbero di nuovo tornare a fare certe cose. So bene che sono stato molto fortunato in questa mia avventura e che, per quanto mi riguarda, tutto è andato nel migliore dei modi. Non ho la pretesa di offrire un manuale su "Come cavarsela dopo aver subito un incidente". So per certo che esistono dei casi più complicati del mio e dei contesti diversi (assistenza mutualistica, paesi di provenienza, ecc.). La mia è solo una testimonianza e il tentativo di condividere la mia esperienza, non un caso da rivista di psicologia. Racconto il mio modo di vedere le cose e, soprattutto, come ritengo che siano andati i fatti. E vorrei spiegare come questa filosofia mi abbia aiutato a trarre profitto dalla mia incredibile esperienza.  

Sì, per me è OK! Penso di possedere molte immagini mentali di quella via. Dunque: sono appeso alla corda statica appena sotto la sosta di Fort comme un Tuc (a Datça, in Turchia); sistemo la macchina fotografica e mi preparo a scendere. Mi sgancio dalla sicura e, quando sposto il peso sull'imbrago, mi sento immediatamente ghermire dal vuoto. Di riflesso, stringo la corda con la mano destra, ma il gesto influirà poco sul risultato finale del mio errore. Ero all'altezza della sosta, quando ho iniziato la mia caduta infernale, vale a dire a circa 25 metri dal suolo e su un muro strapiombante che mi piaceva molto, inclinato di 30 gradi. Dunque non c'era molto che potesse fermare la mia caduta. E così ho fatto un bel buco nell'aria.

"Dunque, ho pensato, è così che finisce tutto"

Qui, su questa falesia, lontano dalla mia famiglia, lontano da Anaïs. È un momento particolare, unico nella tua vita, e il tuo cervello lavora e calcola più velocemente e più intensamente di quanto non saresti mai grado di fare in maniera deliberata. Con l'adrenalina a mille, riesci a comprendere e ad analizzare la situazione con estrema lucidità. Sai che la tua morte è imminente, ma non vuoi, non puoi deciderti. Quindi sì, sono in caduta libera, sto molto in alto, visto che mi trovavo appena sotto la sosta, e so anche che il terreno è cosparso di blocchi. Mi dico anche che si tratta di una situazione divertente, perché qualche minuto prima di ritrovarmi in questa posizione incomoda, il mio amico Nicolas Nastorg mi ha avvertito, vedendomi fare il cretino mentre giocavo a fare l'altalena a pochi metri dal suolo e sopra le rocce: "Smettila con le stronzate! Dammi retta, non avrai mica voglia di finire in qualche ospedale della zona…"

Così, continuando la mia caduta vertiginosa, la mia mano continua a stringere tutto ciò che può, e realizzo quale conclusione mi riservi la buona, vecchia legge di gravità. Ma, anche se non potrò lottare contro la teoria di Newton, so che mi batterò per provare ad atterrare nelle migliori condizioni possibili e, cercando di ottimizzare le mie possibilità di sopravvivenza, non mi sfracellerò, e più in basso farò un grande salto. Che sicuramente mi procurerà del dolore.

"Mi hanno detto che ho fatto come il gatto"

Così, sospeso nell'aria, mi sono raddrizzato, mi sono messo in equilibrio e poi raggomitolato e preparato per l'impatto come si comporta un praticante di canyoning al momento di entrare in acqua, alla fine di un grande salto, cercando di scomporsi il meno possibile, per paura farsi male. Quei riflessi inconsci, oltre alle mie condizioni fisiche, mi hanno certamente salvato la vita. Tutti i miei muscoli si sono contratti all'unisono. Credo che il mio cervello, soggetto a uno stato di stress senza precedenti, abbia chiamato a raccolta tutte le fibre del corpo per cercare di assorbire l'impatto.

"Era scritto?"

Quante volte ho superato quell'uscita autostradale andando ad arrampicare in Spagna? Quante volte mi sono detto che dovevo tornare indietro in quel posto, nel fazzoletto di terra dove da bambino ho trascorso le mie stagioni estive? Non ci tornavo da più di vent'anni, e non so perché, quella volta, di ritorno dal sud della Francia, un impulso (o forse un'intuizione) mi ha fatto prendere l'uscita per Vias, una cittadina pochi chilometri a ovest di Cap d'Agde.
Nonostante alcune difficoltà, sono riuscito a ritrovare il luogo. Euforico e un po' nostalgico, l'ho percorso in lungo, in largo e di traverso, cercando di mettere ordine nell'onda di ricordi che si stava sommergendo. Alla fine sono ritornato al mio camion. L'avevo parcheggiato sul ciglio della strada, in una curva a 90°. Mi sono seduto di fronte a quel fazzoletto di terra e ho lasciato che i miei sogni corressero. Di fronte a me, non avevo visto il cartello segnaletico con il grande cerchio blu e una freccia bianca che indicava che era obbligatorio svoltare a sinistra. Impossibile non vedere un cartello così grande e così vicino. Questo si è fuso con l'immagine sullo sfondo, quella della terra della mia infanzia.

Mi ci è voluto un po' per capire
che il cartello conteneva un messaggio incredibile:
"Attenzione, punto di svolta"

In un primo momento ho riso per l'assurdità del messaggio che mi si è presentato davanti. E comunque quelle parole, assurde o meno, mi sono comparse davanti agli occhi una settimana prima di partire per la Turchia.

Quando ho ripreso conoscenza, ho visto Axel chino su di me. Mi ha aiutato a calmarmi mettendomi una mano sul petto. Provavo la terribile sensazione di ritrovarmi in un sogno e di non riuscire a svegliarmi. "Hai fatto una piccola caduta" mi ha detto, "ho l'impressione che tu abbia i piedi fratturai, ma non preoccuparti: ho chiamato il soccorso". Allora ho cominciato a capire il motivo per cui non riuscivo a svegliarmi dal sogno.
Dei momenti successivi, ho solo qualche flash di quello che è successo. So solo che sono stato preso in carico in maniera inadeguata dai soccorsi e dai medici turchi, e che sono stato rimpatriato in Francia una trentina d'ore dopo il mio incidente, per poi subire un intervento chirurgico d'urgenza presso l'Ospedale universitario di Grenoble. Solo all'arrivo dei medici dopo il rimpatrio, ho potuto allentare la stretta dei denti e dei pugni. Ho combattuto con tutte le forze che ancora mi rimanevano fino al momento de loro arrivo. Non avevo idea dello stato in cui ero, e nessuno era stato in grado di dirmelo. Tuttavia, la preoccupazione che potevo leggere sul volto dei miei amici era sufficiente a farmi capire che non dovevo lasciarmi andare. Il bilancio delle mie condizioni è stato abbastanza pesante. Anche se ho avuto una frattura del seno frontale, dell'arcata sopraccigliare e un grosso trauma toracico, erano i piedi che avevano incassato tutta la violenza dell'impatto con il suolo.

Piede destro:

  • • Frattura comminuta del cuneiforme mediale, intermedio e laterale, oltre che dell'osso cuboide.
    • Frattura della base del primo, secondo, terzo e quarto metatarso.
    • Frattura scomposta nella giunzione corpo-testa del secondo metatarso.
    • Lussazione metatarso-falangea del terzo raggio.
    • Frattura dei bordi anteriore e posteriore dell'astragalo.

Piede sinistro:

  • • Frattura comminuta complessa mista del calcagno.
    • Frattura multi frammentaria e scomposta della base del primo metatarso.
    • Frattura multi frammentaria, scomposta e aperta del corpo del secondo metatarso.
    • Frattura scomposta del corpo del terzo metatarso.
    • Frattura del corpo del quarto metatarso.

Quando mi sono svegliato in sala di rianimazione, ho avuto dei flash un po' bizzarri e inquietanti. Totalmente confusa, un'immagine mi appariva e se ne andava. L'immagine era la sovrapposizione del cartello stradale con la terra della mia infanzia. Ma in quei momenti, in sala di rianimazione, del tutto in balìa del cocktail di antidolorifici, non ho dato particolarmente importanza di quei flash.

Dopo un paio di giorni sono tornato nel reparto di traumatologia. Mia moglie, i miei genitori, la mia famiglia, i miei parenti acquisiti e i miei amici venivano a trovarmi tutti i giorni. E anche se ancora non riuscivo a capirlo, il loro supporto e loro presenza hanno rappresentato le basi su cui mi sono appoggiato per rimettermi in sesto. Ho ricevuto un sostegno incredibile per affrontare la mia prova e non mi sono mai ritrovato da solo quando ho avuto qualche cedimento nel morale.
La dottoressa Tao Lena, il chirurgo che mi ha operato e che mi ha salvato i piedi è venuta nella mia camera per spiegarmi ciò che aveva fatto, le difficoltà che aveva incontrato e come aveva lottato per evitarmi l'amputazione di una parte del piede destro. Mi ha anche elencato tutto quello che non avrei più potuto fare. In considerazione delle fratture ossee a cui aveva dovuto rimediare, in base alla sua esperienza e alle statistiche, i pronostici non erano molto buoni. Avrei avuto delle notevoli difficoltà a camminare, non sarei più riuscito a correre, e probabilmente non avrei più potuto scalare. Ma in fin dei conti ero vivo e avevo ancora i miei due piedi. E allora mi sono detto: mi ci vorrà del tempo, ma riuscirò a rimettere insieme tutte le mie capacità.

"Si riparte!"

Ho cominciato a capire la gravità del mio infortunio e tutte le conseguenze ciò che esso aveva generato. Ed è stato in quel preciso momento che mi si sono parate davanti due soluzioni. O mi rassegnavo, abbassavo le braccia e accettavo la situazione. Oppure predisponevo subito un piano di battaglia, sapendo che avrei dovuto fare i conti con un lungo processo di riabilitazione.

"Personalmente, ho fatto una scommessa
e mi sono fatto una promessa"

Più o meno consapevole delle mie condizioni fisiche, ho valutato il carico di lavoro, l'investimento e il rigore necessari per tener fede alla mia scommessa. Per fortuna, per gran parte della mia vita mi ero allenato per raggiungere dei risultati sportivi.

Nulla viene dal nulla, ed ero a conoscenza di tutto ciò che dovevo fare per affrontare la sfida. Il fatto che il successo nei confronti della più grande prova della mia vita dipendesse da me, mi rassicurava. Ho anche promesso a mia moglie che sarei tornato a correre e che l'esperienza dell'incidente ci sarebbe stata utile più di quanto ci aveva arrecato danni. E su una promessa del genere non si torna indietro. Il fatto che io lottassi, anche e soprattutto per garantire una qualche forma di comfort e di normalità alla nostra famiglia, era una grande fonte di motivazione. Ho scommesso di riuscire ad arrampicare di nuovo sull'ottavo grado, e poi di arrivare ad acchiappare un 8c e, infine, dal momento che sono io a determinare i miei limiti, di poter andare ancora più in là. Sarei riuscito a passare di nuovo sul nono grado? Sì, se me ne fossi dato i mezzi.

Dopo tre settimane nel reparto di traumatologia, sono stato in grado di integrare la mia degenza con il lavoro al Centro di riabilitazione di Rocheplane a Grenoble. Cominciava per me una nuova fase. Ho avuto la fortuna di trovare medici e fisioterapisti che hanno subito capito il mio temperamento. Nel loro ruolo, mi hanno aiutato a incanalare la mia energia e a utilizzarla in modo corretto. Ogni giorno passavo sette ore sulla piattaforma tecnica per il lavoro di riabilitazione: cure di chinesiterapia, rafforzamento muscolare, propriocezione, flessibilità, stimolazione elettrica, e ancora un sacco di altre tecniche utili per ottimizzare i miei progressi. Perché stavo facendo dei progressi!

"Quelle informazioni che non sono riuscito a digerire"

La situazione cutanea della parte posteriore del piede sinistro non permetteva un'operazione in contemporanea con quella del piede destro. C'era un significativo rischio di necrosi. Abbiamo dovuto aspettare 45 giorni per l'operazione e per cercare di ridare forma al mio calcagno. Dopo l'operazione, la dottoressa Dao Lena è venuta a raccontarmi cos'era successo e mi ha spiegato di nuovo tutto ciò che mi sarebbe stato difficile fare, o che non avrei più potuto fare, in futuro. A differenza della prima volta, però, non l'ho solo sentita parlare: no, stavolta ho l'ascoltata e, soprattutto, ho iniziato a comprendere tutto quello che stava dicendo. E la cosa mi ha terrorizzato, ha annientato tutti i miei obiettivi e soprattutto li ha rimessi tutti in discussione.

Tre giorni dopo l'operazione, sono tornato al centro di riabilitazione. Poche ore dopo aver ritrovato la mia stanza, ho cominciato ad avere dei dolori al ventre. Era imbarazzante, ma niente di più. Continuavo a pensare a tutte le cose che non avrei più potuto fare. Mi dicevo che la vita mi aveva rovinato ma che era troppo difficile accettare che tutto finisse in quel modo. Non riuscivo ad ammetterlo e non lo digerivo. Morale: il mio mal di pancia è diventato sempre più forte, anche se in cuor mio ero conscio che avevo somatizzato le informazioni ricevute e proprio non mi riusciva di mandarle giù.

Nel corso della notte, le mie condizioni sono peggiorate. Un medico di guardia mi ha visitato. Mi ha messo una mano sulla pancia, ma alla prima pressione l'ho respinta con violenza, tanto il dolore era intenso. Il suo sguardo mi bastava per capire che c'era qualcosa che non andava. E quando ha detto all'infermiera di chiamare un'ambulanza per farmi tornare urgentemente in ospedale, ho iniziato a immaginare il peggio. Mi sono venuti in mente altri pazienti del centro di riabilitazione che, vittime di infezioni, avevano avuto complicazioni gravi. Ho pensato che, avendo subito da poco un intervento chirurgico del piede, avevo contratto anch'io un'infezione. Ironia della sorte: ero sopravvissuto una caduta di 20 metri, avevo schivato tutte le infezioni quando i miei piedi in Turchia erano un disastro, e mi ero andato a beccare lo stafilococco in Francia! Ero infuriato, e cominciavo a rassegnarmi.

Mi hanno fatto una Tac, ma non ho avuto subito il referto. Era il giorno del festival della musica, e tutti i chirurghi erano occupati. Ero molto preoccupato per le mie condizioni, sicché l'attesa è stata particolarmente difficile e carica d'ansia. Finalmente, verso le 23, è venuto a vedermi un chirurgo. Mi ha detto che aveva molto da fare e che non sarebbe riuscito a operarmi prima della mattina successiva. Operarmi? E di che? Alla fine ho scoperto di avere solo un'appendicite.

In altre parole, non ero riuscito a digerire le informazioni della dottoressa Dao Lena,  e il mio "secondo cervello" – cioè l'intestino –  aveva materializzato il rifiuto di accettarle. La faccenda dell'appendicite è stata con ogni probabilità la peggior prova psicologica che io abbia dovuto affrontare, ma è anche la migliore che mi sia capitata. La morale di questa storia è che noi siamo in grado, anche inconsciamente, di manifestare fisicamente l'urlo che arriva dal nostro cervello. Ma attenzione: se riusciamo a infilarci in un pasticcio del genere con la forza della mente, siamo anche perfettamente in grado di fare il contrario.

"Se condiziono me stesso per poter andare avanti,
il corpo mi restituisce tutti i vantaggi del mio progetto"

Dopo questo piccolo test psicologico, ho ripreso il mio ritmo di vita giornaliera al centro di riabilitazione. Dal punto di vista fisico, progredivo di giorno in giorno, ma avvertivo sempre un piccolo blocco emotivo. Covavo delle preoccupazioni per il mio futuro professionale. Sapevo che dovevo superare un ostacolo per poter procedere con calma. Il recupero era di per sé un ottimo obiettivo, ma avevo bisogno di fare maggiore chiarezza sui motivi per cui stavo lottando. Sentivo un tremendo bisogno di ritorno alle origini. Un desiderio di ritrovarmi fisicamente nei luoghi simbolici della mia infanzia. Di stare in un certo posto, con un bel sorriso, e potermi dire che avevo l'incredibile opportunità di essere davvero lì. Di poter stare nel luogo che avevo scelto, con il proposito di voltare una pagina importante della mia vita.
Non è affatto un problema dare una svolta alla propria vita, tanto più quando si è deciso di farlo in maniera consapevole. Ma la scelta dev'essere progettata, accettata e, soprattutto, vissuta. Così ho scelto di tornare a rivedere la mia vecchia scuola elementare. Avevo molti ricordi. Ma a giudicare dal suo stato fatiscente, la scuola non sembrava essere stata più utilizzata da un bel po' di tempo. Ho passeggiato nel cortile in cui si faceva la ricreazione, e mi sono lasciato andare ai ricordi. Alla fine mi sono imbattuto in un piccolo Michael, di otto anni, che mi osservava incredulo. L'ho guardato con un sorriso e ho iniziato a raccontargli della grande vita che avrebbe avuto, dicendogli che non aveva motivo di preoccuparsi. E lui a tratti sembrava rassicurato e a tratti stupito. E allora mi sono girato verso il vecchio Michael settantenne che mi guardava sorridendo. E lui mi ha fatto intravedere tutte le cose meravigliose che avrei avuto a disposizione se avessi finalmente voltato pagina.

Per ora, devo dire che non mi ha mentito. A quel punto non ho più avuto paura di andare avanti nel libro della mia avita, anche perché ero (e sono) l'unico a poter scriverne le sue pagine, e a sfogliarle. Ovviamente, ho selezionato con cura l'inchiostro con cui scrivere le parole. Un inchiostro costituito dalle mie emozioni quotidiane, dai miei desideri, dalla mia determinazione e, soprattutto, dall'affetto che do e ricevo.

Albane, un'amica che era presente il giorno del mio incidente, ha recuperato la cintura che indossavo al momento della mia caduta. Si è presa la pena di cucirne a mano la porzione strappata, e me l'ha riportata tre o quattro mesi dopo l'incidente. Insieme a una nota che diceva:

"Utilizza al meglio la tua seconda vita"

Questa frase è incisa nella mia memoria e faccio del mio meglio perché la mia seconda vita sia la più bella e più autentica possibile. Oltre ai postumi fisici, questa esperienza mi ha permesso di aprire gli occhi sulle cose essenziali della vita, che per me sono diventate fondamentali: l'amore, la gioia, il coraggio, la relatività, l'autenticità, la determinazione, la sensibilità, l'ottimismo, la condivisione, la semplicità.
 
Equipaggiato con questi strumenti, ho fatto tutti gli sforzi possibili per realizzarmi e per onorare le migliori opportunità che mi si offrivano. Ho adattato il metodo di allenamento, e se questo non fosse stato adattabile, sarei stato io che avrei dovuto adattarmi ad esso. Ogni volta mi sorprendo nel superare quelli che ritenevo fossero i miei limiti. Se ho un obiettivo di cui io intuisco il successo, ci do dentro, mi alleno e do tutto me stesso. Ho sempre trovato amici che mi hanno sostenuto, che mi hanno aiutato e incoraggiato.
 
Ognuno vive la sua storia, e riceva la gioia che dà a sé stesso. Mentre termino di raccontare la mia vicenda, ho appena subito una nuova operazione – la quinta – al piede sinistro. Tante, penserete.
Ci tenevo a scrivere questa storia corredandola con numerosi dettagli. Dal profondo del cuore mi auguro che possa aiutare, ispirare, dare un po' di speranza a quanti escono da un incidente con la mente piena di dubbi e sono terrorizzati dal cambiamento.

"Non abbiamo idea di cosa siamo capaci
di mettere in opera, né della forza che sta in tutti noi
finché quest'ultima non viene messa alla prova"

Nulla è insormontabile se si riesce ad accettare la propria condizione e utilizzare gli strumenti giusti o quelli che ci vengono proposti. Nonostante i molti interventi chirurgici che ho dovuto subire per poter ritrovare un minimo di comfort e di funzionalità, so per certo che i dolori mi accompagneranno per tutta la mia vita. Ma in ultima analisi, ogni mattina i dolori mi ricordano quanto io sia fortunato ad essere ancora qui a divorare e la vita!

Anche se il viaggio è stato lungo, so che sono riuscito a riprendere tutte le mie attività con i miei piedi contorti. So che sono dovuto passare attraverso l‘ospedale per migliorarli, e che non ho alcuna idea di quali siano i miei limiti, ma che non vedo l'ora di esplorarli. So anche che ho onorato la prima parte della mia scommessa, facendo l'occhiolino al paradiso.

Mike Fuselier recovery

"La vita è un dono: senza di loro, potrei essere morto o amputato"

Un'incredibile solidarietà e una magnifica catena umana mi hanno preparato, incartato e offerto questo dono con la più grande semplicità possibile. Senza di loro, probabilmente non avrei scritto queste righe e non sarei stato così ottimista; anzi, senza di loro non avrei fatto proprio nulla.

È utopistico pensare di essere più forti della morte, e credo di essere stato supportato in maniera meravigliosa per affrontare le prove della vita.
Amici miei, siete accorsi con coraggio e intelligenza ai piedi della falesia e mi avevano sostenuto in attesa che venissi rimpatriato. Svana, Albane, Vincent, Nicolas, Olivier e Axel, abbiamo condiviso insieme l'avventura traumatica di cui sono stato protagonista.

La combattività e l'audacia della dottoressa Dao Lena sono state impressionanti. Severine, hai fatto il tuo ingresso in una partita in cui stavo perdendo 3-0, ma sei riuscita a fare di tutto per farci vincere l'incontro. Grazie!

Uscire dal centro di riabilitazione quand'ero su una sedia a rotelle, per me è stato come respirare una gran boccata d'aria pura. Il mio ottimismo e la mia grinta avrebbero subito un brutto colpo se mia sorella Karin e mio fratello Jonathan non fossero venuti a sostenermi. E quando ho sussurrato: "Vi prego, aiutatemi", mi hanno portato ai quattro angoli della regione Rhône-Alpes.

Tutti gli amici si sono mobilitati per farmi uscire, sostenermi, distrarmi e regalarmi dei momenti d'evasione. Siete in tanti, e provo per voi un'immensa gratitudine. Grazie ai Titounes, grazie ad Alban e Perrine, grazie a Guillaume e Perrine, grazie a Greg e Mag, grazie a Coco, grazie a tutti coloro che non ho menzionato ma che sono stati presenti.

Christophe (il dottor Rulh), A Rocheplane il tuo rapporto con il paziente, la tua umanità e il tuo atteggiamento positivo mi hanno aiutato in maniera sostanziale. Il dottor Judet è un chirurgo di talento dalle mani d'oro. Non solo: ha il merito di curare i pazienti con la massima umiltà. Devo in parte a lui il fatto che tornerò di nuovo a camminare in modo normale.

Sono riuscito a trarre il miglior benefico da questa avventura grazie a tutti quelli che riescono a vedere le cose con il giusto distacco e hanno una visione pertinente di ciò che ci circonda. Grazie, Geneviève per avermi spiegato i nostri fondamentali.

La parola grazie non è abbastanza forte per esprimerti, cara Gilou, tutto il senso di gratitudine per tutto ciò che ti devo in questo lavoro di ricostruzione. Le tue cure, le tue spiegazioni, la tua comprensione, la tua apertura d'animo, il tuo tempo e la tua persona sono le cose che mi hai donato quando ne avevo bisogno.

Grazie, cari genitori, per il vostro supporto e per tutto ciò che avete fatto perché io stessi meglio..

Anche con tutto lo slancio possibile, io non sari riuscito a superare nemmeno il più piccolo rilievo, non avrei risalito nessun pendio e anzi sarei probabilmente colato a picco, se nella mia vita non ci fosse stata Anais. Parlo della mia prova, ma in realtà, mia moglie ha dovuto fare i conti con delle prove assai più dure delle mie. Con incredibile forza e con molto coraggio, ha messo da parte le sue paure, il suo dolore e le sue perplessità, per mettere le proprie energie nella fase del mio rimpatrio, nella gestione della famiglia e degli amici. Mi ha sostenuto, curato, amato ogni secondo. Ha trascorso assieme a me delle notti insonni in ospedale, ha fatto in modo che io ricevessi le cure migliori. È riuscita a organizzarsi e a trovare dell'altro tempo per portarmi ovunque. È stata lei a occuparsi di tutte le carte per l'assicurazione. E nonostante tutto ciò, è stata sempre capace di guardarmi con i suoi occhi azzurri e dirmi: "Ce la faremo, Pilou". Grazie, cara: sei il dono più meraviglioso che io abbia ricevuto nella mia vita.

E non dimentico il sostegno ricevuto dai suoi genitori, dai fratelli e da sua sorella (Françoise, Pierre, Nathalie e Cyril) in questa grande prova. Ma anche dai suoi meravigliosi amici.

La vita mi ha dato una seconda possibilità, e con il sostegno di tutti cercherò di dare il meglio.

Mike Fuselier,
Grenoble, 11 gennaio 2017