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Pakistan 2017 Kondus Valley e Kiris Valley

Federica Mingolla con i Ragni di Lecco Luca Schiera e Simone Pedeferri

25 Ottobre 2017

Arrampicata

Pakistan 2017

Non ero mai uscita dall'Europa per scalare. In ogni caso considero l’esperienza pakistana dell’estate scorsa l’inizio di una serie di belle avventure che – spero – mi vedranno impegnata nei prossimi anni ad esplorare ogni angolo di mondo.

Quando Luca Schiera mi parlò per la prima volta del Pakistan, ero abbastanza scettica. In realtà il Pakistan è un paese bellissimo e, dal punto di vista paesaggistico, ha davvero molto da offrire. Per gli scalatori d’alta quota, le sue montagne ospitano ben cinque dei quattordici 8000. Luca, Simone ed io puntavamo però ad altitudini più contenute. Il nostro obiettivo era quello di esplorare una valle che fino a quel momento non era mai stata visitata a scopi alpinistici: solo poche persone erano riuscite ad entrarci, giusto per scattare qualche foto durante i loro trekking.

La Kondus Valley era anche molto difficile da raggiungere per via dei permessi. Fino a un mese prima della partenza, non sapevamo se effettivamente saremmo partiti oppure no. E, da quelle parti, come si sa, “no permessi, no party”. Poi, improvvisamente abbiamo ricevuto la buona notizia: avevamo i permessi e ci rimaneva “solo” da inoltrare la richiesta dei visti. “Solo”? Accidenti, ottenerli è stata davvero un’impresa, forse la più grande di tutte. Anche perché oggi, per visitare un paese come il Pakistan, devi dimostrare di avere come minimo 10.000 euro sul tuo conto bancario, altrimenti potresti non essere autosufficiente per affrontare questo tipo di viaggio. Incredibile…

Eviterò di raccontare come siamo riusciti a dimostrare che eravamo degli alpinisti e non dei barboni, e con la foto della Kondus Valley nel cuore e i visti in mano siamo finalmente partiti alla volta del Pakistan. Si dice che, quando le cose cominciano male, di solito hanno un lieto fine. È una massima a cui ho sempre creduto, e speravo ardentemente che anche per noi le cose prendessero la piega giusta.

Una volta arrivati a Skardu (l’abitato del Baltistan da cui di solito partono i principali itinerari di trekking di quest’angolo del Karakorum), abbiamo iniziato nostra avventura salendo a bordo delle nostre jeep o, meglio, di ciò che si sarebbe presto trasformato nel peggior degli incubi. Dopo ore e ore di strade da panico, alla
fine siamo giunti nel villaggio di Kharma Ding, dove ci siamo fermati e abbiamo piazzato il campo base.

Pakistan 2017

Da quel momento sono iniziate due settimane di trekking, con ricerca e tentativi di apertura di vie su varie pareti, all’apparenza belle, simili a certi angoli delle Ande patagoniche, con roccia che pareva solida ma che, nella realtà, era solo sabbia. Panico! Ogni volta che provavamo a salire da qualche parte, i risultati non erano dei migliori, e il materiale che puntualmente rimaneva in parete non era poco.

Delusi, sconfitti e anche un po’ stanchi (possiamo ben dirlo), abbiamo deciso di esplorare altre valli perpendicolari alla nostra, o comunque situate nell’arco di pochi chilometri.

Improvvisamente, la situazione è stata ribaltata da un colpo di scena: Luca, che nel frattempo si era allontanato più di tutti per andare a vedere un posto parecchio distante, è tornato dicendo che dovevamo spostarci e andare là dove lui era appena stato. Ci ha mostrato le immagini di una parete che all’apparenza non sembrava un granché, anche se la bellezza del luogo compensava tutto il resto (poi, in realtà, anche la parete si sarebbe dimostrata degna dell’aggettivo “bella”).

Chi conosce gli angoli della Svizzera non colonizzati dall’uomo può senz’altro farsi un’idea del paesaggio che ci siamo trovati di fronte in questo nuovo solco vallivo, la Kiris Valley. Dalla Patagonia alla Svizzera…, stavamo facendo il giro del mondo in una sola spedizione…

Riposizionato il campo base, e dopo una breve ricognizione, ci siamo dati al lavoro sporco: l’apertura di una via nuova.

Pakistan 2017 - 3

La nostra parete appariva come il soggetto di un bel quadro; e la cornice che l’inquadrava era costituita dalle distese erbose che l’attorniavano e dagli animali al pascolo, oltre che dal fiume che scendeva dal ghiacciaio poco più in alto. Abbiamo attaccato a quota 4100; la vetta era circa 800 metri più in alto.

In tre giorni di lunghe ravanate in parete e di grandi scammellate per portare i sacconi, a poco a poco è nata Good, No Good (7b/A2, 750 m) sul Peak Nik (abbiamo battezzato la nostra cima così, perché da quelle parti i pascoli si spingono sin quasi a un’altitudine di 5000 metri!). Ad ogni buon conto, penso che il nome della nostra nuova via riassuma alla perfezione la nostra esperienza in Pakistan, con le cose che a volte sono andate bene, a volte male.

Se siamo stati contenti della nostra nuova linea? Certo che sì, anche perché si tratta di una via totalmente clean, portata a termine senza usare chiodi né, tantomeno, fix. Gli unici materiali impiegati sono stati due serie di friend fino al 4 e un 5, una staffa (per l’artificiale), una mazzetta di nut e due corde da 60m.

Ora tocca a voi. E buona avventura!

relazione Pakistan